"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

sabato 7 aprile 2007

Alda Merini, poetessa



Amai teneramente dei dolcissimi amanti
senza che essi sapessero mai nulla.
E su questi intessei tele di ragno
e fui preda della mia stessa materia.
In me l’anima c’era della meretrice
della santa della sanguinaria e dell’ipocrita.
Molti diedero al mio modo di vivere un nome
e fui soltanto un’isterica.



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Intervista ad Alda Merini, la voce libera di una donna vera


Per lei il compleanno è una data importante?

Lo era, adesso non lo è più perché ho incontrato un sacco di ragazzi sciocchi che sono nati il 21 marzo e mi sono veramente cascate le ginocchia. Io nascerò un altro giorno.

Però la primavera è nata il 21 marzo

Non l’ho fatta io, guardi. Il 21 marzo è la festa mondiale della poesia, ma il 21 come inizio della primavera è un caso, primavera è folle perché è scriteriata, perché è generosa. Però incontra anche il demonio. E io l’ho incontrato il demonio. Era il manicomio. A furia di andare in giro a vanvera come vado in giro io, mi sono imbattuta male, però anche il demonio si è commosso e mi ha lasciato uscire. Tutto lì. C’è un medico che mi ha raccontato una cosa: succedono dei miracoli. E mi ha detto: lei ha avuto un miracolo, non si ricorda più del manicomio, tutto spazzato via.

Ho vissuto come una sequenza catartica, di purificazione, ma di quale peccato non l’ho mai saputo. Comunque è una purificazione a livello religioso, in cui uno si rende conto che la morte gli cammina a fianco e non se ne rende conto. L’ho pensato spesso di quel grande editore che era Vanni Scheiwiller che alla mattina partiva con la valigetta e dicevo: verrà un giorno che diranno all’Alda Merini: oggi non parti più. Sarà un giorno tremendo in cui chiuderanno la porta: verrà anche per noi comunque, ma questo non mi rende triste. Anche perché se chiudono la porta gli spifferi non entrano più e io non mi ammalo più (ride). Finché son viva ho spifferi da tutte le parti.

Se vogliamo dividere in periodi questi suoi 76 anni possiamo immaginare quattro parti di 19 anni. Il primo ciclo si conclude nel 1950. Cosa le ricorda questa data?

E’ quando mi sono sposata. Ero una bella giovinetta, mi mangiai la giovinezza, era tenera, era buona, come dice il poeta. Me la sono mangiata.

Se dovesse scegliere una poesia di quel periodo?

Mah, non ho più voglia di parlare di poesia, ne ho fatte tante. Però mi interessa molto parlare di quella che è stata la mia vita che secondo me è stata molto bella. Perché quelli che dicono che sono felici mentono perché nessuno è felice. Io invece ho trovato il mio cantuccio di felicità che adesso è la vecchiaia. Per me è bella, uno la vuol curare, vuol curare le ragadi, la piega sbagliata, e finiscono per farmi ringiovanire, ma non ci tengo.

Quando ha cominciato ad apprezzare l’età della vecchiaia?

Sempre fin da giovane, perché ero già matura, quindi ero già vecchia. Per me la vecchiaia non è una novità, è un prolungamento della giovinezza. Sono stata una ragazza precoce, ma voglio dire che non vedo la brutalità della morte, della vecchiaia, il poeta non ha tempo. Ha il tempo che si ritrova in mano, quel poco, quel tanto. Di solito i poeti sono religiosi perché apprezzano i doni della vita.

E questa sensazione di essere senza tempo è stata la poesia a fargliela percepire?

No, la poesia è un mezzo per raggiungere la felicità, non è che si invecchia o si ringiovanisce con un bel verso sulla giacca. Queste sono balle. Che raccontano. Le voglio raccontare un aneddoto. Io e mia sorella che era una grande donna, di carattere, un po’ come me. L’ho vista seppellire, una bellissima cassa tutta istoriata feci questo pensiero. Meno male che tu muori, io non morirò mai. Rimasi così male a vedere che questa conosceva la morte e io sarei stata eterna. Ebbi questa folgorazione: che cosa ho fatto a scrivere dei versi? E’ stato sei anni fa. Mi manca molto mia sorella. Era una donna che apprezzava come me la vita.

… e che l’ha accompagnata per tanti anni…

Mi ha accompagnata, calpestata. Il problema dei manicomi è stato il problema della Dickinson. Mia sorella era gelosissima di me, secondo me ha preferito rinchiudermi, perché mi voleva un bene incredibile. Capisco, era un delirio, però era amore. Io sono rimasta là, accompagnata dalla sua ombra. Non voleva che io amassi gli uomini, era una contaminazione. Io li ho amati così di straforo, è stato molto bello però.

Quindi l’amore può portare a rinchiudere in manicomi o in gabbie.

Può portare a uccidere, lo sappiamo tutti perché abbiamo queste crisi di gelosia, questi rifiuti. L’amore può fare molto male, però se capisce che è amore, allora diventa un gaudio. Se lei perdona, capisce che ha ucciso per amore e allora torna in Paradiso.

Nell’amore, come nella realtà ci sono sempre almeno due facce.

Se uno le sa vedere sì. Cioè sappiamo tutti che una persona in qualsiasi momento può diventare un aspide o un angelo, è un impasto di bene e di male. Quindi preveder questo dualismo nell’essere umano è già scoprire l’infinito, la celebrità, la morte e la resurrezione. Ma questo non è un cristianesimo di tutti i giorni, è più paganesimo che altro.

Però nel suo paganesimo la figura di Cristo è ben presente….

Ma Cristo è stato un furbo. Anche noi siamo stati crocifissi. Quello che dà fastidio nella figura di Cristo è che è stato sconciato, deriso, portato su un patibolo falso, quando era un uomo che non si è difeso. Ci sono momenti in cui il poeta che è anche filosofo non ha più difese, non sa più cosa dire, si lascia uccidere.

Nel raccontare la figura di Cristo lei ci si è anche identificata?

No, io sono una donna, non dico come Arnoldo Mondadori “Gesù mi ama”. Spero che mi ami. Né io gli voglio un bene da morire. Preferisco la vita

In quale delle figure religiose che ha raccontato invece si è identificata? In Maria?

Neanche. In Ponzio Pilato. Francamente io me ne infischio del parere degli altri, non ne ho mai tenuto conto. non mi interessa molto, anzi per niente. Sono gli adolescenti che si identificano e dipendono dal giudizio degli altri.

Facciamo un altro salto nel tempo e arriviamo a metà della sua vita, al 1969. Cosa ricorda?

E’ il periodo in cui ho avuto mia figlia, Barbara. E’ quella la cosa più importante, quando ho messo al mondo la mia bambina.

Per un poeta mettere il nome a una figlia è forse più complesso che per gli altri, perché conosce e cerca il significato più profondo di ogni parola. Perché ad esempio ha chiamato sua figlia Barbara?

Adesso lo posso anche dire. Perché sono sempre stata una donna molto trascurata e mio marito mi diceva: “Sembri una barbona.”. Allora tra “barbera” e “barbona” ho detto: chiamiamola Barbara. Ma di fatti è venuta su con un carattere barbaro. Santa Barbara è la protettrice degli artiglieri, è molto combattiva e anche molto dolce, forse come tutti i barbari.

Con l’andar del tempo lei è diventata meno combattiva?

No, sono sempre stata combattiva. C’era Vanni Scheiwiller che diceva: Arriva la Merini. Io insultavo in un modo che facevo paura. Poi vedevo che avevano paura e mi divertivo a spaventarli. Vedere uno tremare dà un effetto… provoca un’adrenalina tremenda. “Adesso ti spavento ben bene”. E’ una pratica che avevo imparato in manicomio perché il modo migliore per azzerarci era spaventarci. Solo che io quando qualcuno veniva per spaventarmi gli ridevo in faccia. Li demolivo, li guardavo col mio sguardo e non potevano farmi niente.

Lei parla spesso del manicomio, come in questo caso, come una scuola di formazione. E’ stato anche questo?

E’ stata una scuola pitagorica. Sepolta viva, poi finalmente esci e sei rinata, e te ne vai per fatti tuoi, come se niente fosse accaduto.

Come se quei dieci anni fossero durati un giorno?

Non si sentiva il tempo in manicomio, anche perché non facevamo niente. Non aspettavamo nessuno, eravamo entrati per morire per ritrovarci un giorno vivi. Era una grande sorpresa, era una grande felicità. Ogni sera la morte e la rinascita. Tremendo, bisogna avere due spalle così per poterlo sopportare, però quando vieni fuori … chi se ne frega della pulizia, del deodorante. Ormai hai toccato il vertice della conoscenza umana, della sapienza, del buon senso.

A un certo punto lei facendo parlare Gesù dice: “Ho tre dimensioni: la pietra, la carne, lo spirito”. Questa dimensione della pietra ritorna più volte nelle sue poesie.

E’ la povertà, la lapidazione, l’ingiuria. Dopo la guerra io scrivevo proprio sulle pietre. Milano era distrutta, scrivevo sui tavolini di pietra. Il Figlio dell’Uomo non ha una pietra su cui posare il capo, era abbandonato, era tremendamente solo, la pietra sta a significare la solitudine.

E lei richiama anche la pietra parlando di Resurrezione. E’ quella oltre cui si va.

Si pensa, ma non lo spero neanche, Perché dovrei sperarlo? Ho avuto quello che volevo nella vita: i figli, la famiglia, la gloria, il dolore. Il dolore è la forza propulsiva che fa creare. Gli altri hanno paura del dolore. Io no, sono sempre stata una donna coraggiosa.

Cosa prova quando rilegge le sue poesie?

Non le rileggo mai. Io le detto e poi non le ritocco più, le abbandono, nascono perfette. Però se ne approfittano più. Ma io non sono una macchina da gettonare, non sono il Celentano della poesia.

Lei vede la vita passare su questo Naviglio. Che cosa ha visto scorrere su questo Naviglio?

Anche i morti son passati di qui, morti, anatre, i piccoli delle anatre, barche, tifoni immaginari, pioggerelline nebbia che non c’è più. Non c’è più la nebbia a Milano, sembra di essere al sud. Non c’è più la vecchia Milano, povera, povera. Vedere i poveri era naturale. Adesso se non ha la mansarda non è un essere umano, è un povero Cristo.

Che cos’è per lei l’ordine e cos’è il disordine?

Hmmm. Vede, questa casa che a lei sembra un’ammucchiata di roba, è forse la più bella che c’è sul Naviglio, perché non ho mai demolito un muro. E’ rimasta tale e quale e la gente questo non lo capisce: sporca, vecchia, andrebbe ritinteggiata. Ma guarda le altre case: sono asettiche, impersonali, ordinate, uno non si può sbracare. Sono case che non sono vissute. Questa è la casa più bella proprio perché nessuno l’ha mai toccata. E’ viva.

Quanta parte di lei che si sentiva anziana da giovane oggi si sente bambina?

Tutta. Dagli occhi alle caviglie anche se non funzionano. Dobbiamo voler bene ai nostri malanni, un giorno ti fa male un piede un giorno la testa, ci si parla, ci si consola, il dialogo con noi è infinito. Lei continua a raccontarsi le stesse cose poi trova assassini, trova gente, i manicomi le chiavi le porte. Se lei vedesse… io nella mia mente potrei girare un film. Però le posso dire una cosa: non ho mai sognato un uomo nudo. Devo pregare il Signore di darmi questa possibilità. Mai. Tutti vestiti, incravattati, c’è una castità innata. Io pensavo di svestire qualche innamorato. Neanche quello. Tutti incravattati, sembrano tutta gente di governo, mai nudi. Per il mio compleanno… non mi ha portato un uomo nudo, anche una statuina … (ride)

Lei che con le parole ha saputo dare la ricerca della bellezza, della profondità, dove e come ha ricercato la bellezza?

Ma perché io ero una donna molto bella, se ero uno scorfano non scrivevo così. (ride) Ma se fossi stata brutta sarei stata felice ugualmente. Dipende da come sei dentro. Se sei felice sei bella, perchè gli occhi lo dicono.


(Il tempo di cambiare la cassetta per la registrazione video e Alda Merini comincia, nell’ultima parte dell’intervista, a fare quasi monologhi. Non più risposte per aforismi, ma discorsi più ampi. Comincia parlando di Marina Bignotti, la donna cui ha dedicato l’ultimo suo libro edito da Scheiwiller, “Briglie d’oro”)


Ecco, la Marina è stata una delle mie più grandi ispiratrici. Ed è una donna che io ho amato, perché si parla di Lesbo, di Saffo, ma è una donna che ho amato molto. Le giuro, non l'ho mai desiderata e penso neanche lei. Però c'è questa dimensione d'amore, di considerazione del bello dell'altro, di desiderio dell'altro, che non so su che scala di valori possa andare, però è una voglia di assomigliarle e un rifiuto di assomigliarle. E' un'ambivalenza. Quindi, questo amore che non si vuole, però ci riceve. E però ci manda via. E' un continuo plenilunio e notte, che è fantastico. Pare che le grandi poetesse abbiano avuto tutte degli amori femminili. Almeno delle risonanze. E abbiano scritto lettere d'amore a queste donne. La Marina era un po' il riflesso di Scheiwiller, era un po' il secondo Scheiwiller femmina, no? E quindi la consideravo mandata da lui, ammaliata da lui. Un'ammaliatrice, diciamo, che voleva portarti in quest'isola del peccato. Del peccato e della poesia, del rimario. Lei voleva chiuderti in un libro, no? Diciamo, nella mia fantasia. E fare di te quelle farfalle schiacciate, no? E la Marina era così. Quando andavo nello studio di Vanni, era già un habitat che ispirava alla riflessione, alla mendicità mentale. Il mendicante va a chiedere...ecco la storia del mendicante che chiede il rifugio, di bere il latte della Sapienza, no? Qui dentro, per esempio, è impossibile scrivere poesie perché ci vuole proprio il sito importante. Il posto, il silenzio, no? La Marina è stata una grande ispiratrice e, però, si vive anche di amori femminili. E’ quello che non riesco a far capire a quelle deficienti che vengono e dicono: 'Mi scriva una poesia'. Mancano di tutto. Mancano del padre. Non li manda nessuno. E invece ci sono poi gli inviati speciali di Apollo, del grande paganesimo in cui vivo. Inviati di qualche maestro. E questi chi li conosce? Questa donna è infarcita di Vanni Scheiwiller, è la figlia di Vanni Scheiwiller, è anche un po' figlia mia, no? E' stata una filiazione d'arte, come, per esempio, quando io ballo col Maestro Nuti: è un amante d'arte. Però l'ho costruito io. Quindi un amore di spasimi. E' il pensiero che si contrae. Non è il corpo. E allora queste contrazioni uterine del pensiero fanno poesia. E' un po' difficile raccontarlo alle ragazzine.


(Legge una poesia e torna, senza alcuna domanda, sui temi dei dolori d’amore)


Siccome sono una donna, ci tengo a dire una cosa, a proposito dei dolori d’amore, e questo fa parte anche di un discorso, diciamo, politico. Io vorrei che le donne fossero un po' più schiette, per una donna una separazione è un lutto interiore, l'abbandono. Però sono proprio questi grandi dolori che danno il via alla grande letteratura. Non si capisce però, come nel Vangelo, perché i tradimenti? Perché Giuda tradisce? Cioè il problema del male nell'uomo, che viene dopo l'amore. E’ un grande dilemma, e se uno l'accetta, cambia partner: dice: 'Beh, invece di questa, vado con un’altra', ma non è possibile. Non è possibile perché c'è l'incapibilità del male. Non so, prendiamo i coniugi di Erba, tranquilli, seduti in poltrona, che si alzano e ammazzano ...imprevedibili. Non è pazzia, è proprio il corpo-dolore che c'è nella vita. Il dolore è la malattia. E' la cosa che la fa ammalare, è la cosa che la sacrifica, però sacrificarsi sull'altare di un cretino o di una cretina fa male al cuore. Perché si capisce che non valeva la pena. E' questo il dolore. Se lei piange la morte di un congiunto, che è il dolore di tutti i giorni, che è una cosa che hanno tutti, è una cosa normale, è duro da accettare, si può ugualmente morire, però è volontà di Dio. Ma la volontà di uno stupido, a volte, dà così fastidio, mi crede? Ma tanto... E poi non c’è un risarcimento danni, perché una delusione non è più ripagata...

Dopo l'11 settembre, nell'ottobre 2001, lei ha scritto una poesia, “Addio”, in cui dice che non è più tempo di poesia, quella in cui c'è la guerra

C'è un tempo di disordine adesso. Questa mattina il cardinal Martini ha ripreso il Papa perché è troppo pragmatico...Abbiamo bisogno di calore...e di sincerità, perché se dicono che ho un brutto carattere e le dico: 'vada fuori dai piedi, mi ha scocciato', buonanotte. Ma se io mi sento perseguitata allora questo diventa una morbosità. E’ meglio la violenza diretta di quello che penso, che non continuare ad almanaccare su di lei. E’ questo succede nelle grandi delusioni. Perchè la delusione è ancora amore, no? E lei di una persona, come spesso accade di me, ne aveva fatto un nume e s'accorge che era un colosso d'argilla, e che va in pezzi...Non vorrei che succedesse della Chiesa Cattolica, il colosso d'argilla. Una donna che ama fa di lei un mito e si domanda come mai gli altri non la amano come lei... Perché gli altri non ne hanno fatto un colosso, la vedono per quello che è.

Quindi è l'idealizzazione uno dei mali.

Ecco cos'è l'amore: rendere grande, eterno, uno che non vale un tubo. Però, quando le cade a pezzi davanti, è proprio un vaso d'argilla.

E lei di queste cose ne ha viste, provate, sentite tante, ma, perché poi ogni volta si continua negli stessi errori?

E’ un discorso molto lungo. Adesso l'anziano continua a vivere grazie agli antibiotici, si salva... però 'vivacchia”, non è che viva. Una volta si moriva, decisamente, una volta sola, adesso si tira a campare. Allora il vecchio vorrebbe amare, ma non può, però c'ha la gamba rotta, ma non può, però dopo gli dicono che voler bene a una donna è sbagliato, però dicono che voler bene a lei è falso...E ‘sto povero rimbambito di un vecchio diventa soltanto il nonno dei suoi nipoti. Gli sfasciano le tasche e rimane appiedato. Non ha una funzione sociale. Però, insomma, un Pippo Baudo che dà della cretina alla Hack, mi sembra esagerato. Saremo anche un po' cretini, ma dei cretini sorridenti. No? Pippo Baudo non sa ridere....

Lei ha saputo sempre ridere?

Beh, nei momenti peggiori, sì...della mia vita ho riso...

Ed è stata una liberazione...

Sì. Alle volte uccide più la risata che la maledizione. Infatti a un assassino, se gli ride in faccia...(ride), è vero, sa? 'Sono venuto per farle paura'...E così il diavolo. Provi a ridergli in faccia. Non è così? Uno vede il demonio..., e gli dice: “beh, si sieda, parli, dica quello che pensa? Facciamo un po' di analisi. Perché lei ce l'ha col Signore ‘ ...Fantastico.

Di tutte le figure che ha richiamato oggi, non ne è venuta ancora fuori una che per lei è fondamentale, l'Angelo.

Mah, gli angeli, sa, sono un po' scassati (ride). Lasciano piume dappertutto. Sa la storia, come la diceva Dario Fo, mi pare nel 'Mistero Buffo', quando l'Angelo capita qui, in questa casa, è sconvolto...

- Cioè, questa sarebbe, la Madre di Dio, in questa stamberga qui? Ma, l'indirizzo era giusto?'

- Sì, sì, l'è proprio la Maria Vergine

Anche la Maria fa: - Scusi, sa, ma lei mi occupa tutto lo spazio...ma, cosa vuole da me? “Tu sarai la madre di Dio”

- Io? Ma scusi, ma io non conosco uomo, parliamoci chiaro!

E nasce questo dialogo tra l'angelo che si trova in un posto dove l'ha mandato il Signore, ma non gli pare giusto, e non può discutere l'ordine divino...e neanche la Madonna...E dicono tutti e due un sì, che non capiscono...Molto bello. E l'angelo se ne va, però è proprio questa angelica forma che ha fatto il grande innamoramento di Maria: il portatore, il postino, che anche lì suona due volte. E allora lì...copula: parte del predicato nominale. Ma che genere di copula è stata? Del Pensiero. Che poi è il copyright che trovo sempre sui libri. Perché è finito lì...

Adesso basta, però.

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da altra intervista..


Grittini le ha anche scattato foto che hanno fatto molto discutere, in cui lei posa nuda.

Sono stata io a volerlo. Mi fa sorridere il moralismo della gente, non lo tirano fuori per il nudo in sé, ormai ovunque, ma per quello non perfetto. E' l'imperfezione a scandalizzare, come fosse una colpa. Il mio è stato un gesto di provocazione, e anche di profondo dolore: in manicomio ci spogliavano come fossimo cose. Mi sento nuda ancora adesso.


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